Calvino e Torino a 100 anni dalla nascita del grande scrittore
Intervista alla Prof.ssa Allasia sulla modernità di un autore diventato un classico. Nei prossimi mesi il progetto "Funghi in città" del Dipartimento di Studi Umanistici di UniTo esplorerà meglio la sua stretta relazione con la città della Mole
Il 15 ottobre ricorrono i 100 anni dalla nascita di Italo Calvino, uno dei più grandi scrittori del Novecento. Con la Prof.ssa Clara Allasia, docente di Letteratura italiana contemporanea al Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Torino, approfondiamo la contemporaneità della sua opera e il suo rapporto con il capoluogo piemontese.
Italo Calvino aveva un legame molto stretto con la città di Torino. Ci spiega meglio che importanza ha avuto Torino nella sua biografia?
Torino per Calvino rappresenta la metropoli in cui, provinciale, ha iniziato la sua carriera nella redazione Einaudi; di conseguenza è il luogo in cui si è mosso nelle prime esperienze lavorative, ma anche nell’osservazione dell’ambiente metropolitano che diverrà, in molti suoi lavori, l’ambientazione principale in cui gli antieroi si muovono.
Mi concentrerei, per cominciare, proprio sul rapporto con Einaudi: dal 1947, anno in cui viene assunto (dopo un periodo di precarie "gravitazioni" da rappresentante editoriale e redattore), ha infatti modo di portare nel catalogo della casa torinese il suo interesse per il nuovo, fornendo un’impronta anche al gusto letterario diffuso in quel periodo: nel 1950 la morte di Pavese (di cui cura la raccolta La letteratura americana e altri saggi e la prima edizione del Mestiere di vivere con Massimo Mila e Natalia Ginzburg, e al quale invia alcune lettere oggi conservate presso il Centro Studi Gozzano-Pavese del nostro Ateneo) rappresenta un momento di importante avanzamento delle sue responsabilità editoriali, segnate in particolare dall’inaugurazione della fondamentale collana dei "Gettoni" con Vittorini.
Parallelamente, dal suo esordio come autore del 1947 con Il sentiero dei nidi di ragno, dimostra di avere interesse per un approccio fiabesco al racconto del reale e, se da una parte la Torino in cui vive diviene protagonista di Marcovaldo, dall’altra si apre un filone che attraverso il fantastico in realtà vuole dare – secondo quanto dichiara nell’introduzione alle Fiabe italiane – "una spiegazione generale del mondo, in cui c’è posto per tutto il male e tutto il bene". Il culmine di questo progetto narrativo è rappresentato nel 1956 dal trentatreesimo volume dei "Millenni", che incarna l’intenzione della collana (e del suo fondatore, Pavese) di fare interagire il classico con il contemporaneo.
Gli anni Cinquanta vedono anche la riforma del "Notiziario" della casa editrice, che diviene un utile strumento per rintracciare i paratesti utili al commento di futuri classici e rappresentano, in chiusura, anche l’inizio di attività di scouting all’estero e in particolare, tra il ’59 e il ’60, negli Stati Uniti. Qui conosce giovani autori che diverranno importanti firme di Einaudi, come Philip Roth e James Purdy. Dopo la chiusura dei "Gettoni" nel 1959, con Vittorini progetta e dirige il "menabò", palestra di giovani critici, narratori e poeti, e nel 1971 fonda la collana dei "Centopagine", che permette la rivalutazione di alcuni autori del passato (come Tarchetti, la cui Fosca inaugura la fortunata serie).
La collaborazione con Einaudi si protrarrà fino ai primi anni Ottanta, e Calvino riconoscerà in diverse occasioni l’importanza del periodo in cui collaborò con (e si formò grazie a) Vittorini. In un’intervista a Felice Froio (in Dietro il successo, Milano, Sugar, 1984) disse "la mia vita per una quindicina d’anni fu quella d’un redattore di casa editrice, e in tutto questo periodo ho dedicato molto più tempo ai libri degli altri che ai libri miei. Ero insomma riuscito a mettere ancora uno schermo tra me e la mia vocazione di scrittore, per quanto apparentemente mi trovassi nella situazione più favorevole".
Il rapporto tra Torino e Calvino è ora al centro di un progetto attivo presso il Dipartimento di Studi Umanistici intitolato Funghi in città: la Torino di Italo Calvino oltre via Biancamano, a cui partecipo con molti giovani ricercatori di diversi ambiti (si va dalla critica letteraria alla filologia, fino all’informatica). L’obiettivo che il gruppo di lavoro si è posto è quello di esplorare e approfondire i diversi richiami al capoluogo piemontese celati nelle pagine di Calvino, partendo da Marcovaldo (il cui primo racconto dà il titolo al progetto), fino ad arrivare alla Nuvola di smog e agli Amori difficili. Abbiamo cominciato organizzando lo scorso giugno un incontro presso la sede torinese di Rai Teche con la proiezione della prima puntata di Marcovaldo preceduta da una breve comunicazione di Lorenzo Resio, che del progetto è il P.I. Nei prossimi mesi il progetto continuerà con iniziative di didattica, ricerca e iniziative di terza missione.
Le Lezioni americane – i 6 “memos” per il nuovo millennio scritti 15 anni prima che il millennio iniziasse – sembrano aver individuato tendenze che si sono poi rivelate vincenti, nell’evoluzione dei linguaggi letterari e mediatici (la leggerezza, la rapidità, la visibilità e il ruolo delle immagini). È davvero così?
Giorgio Manganelli, recensendo per il "il Messaggero" le Lezioni americane nel 1988, definiva il libro "duplice": "Tutto è chiaro, ma niente è limpido; tutto è rigoroso, ma niente è immobile; tutto “è lì”, ma non lo puoi toccare". Le lezioni per Harvard del 1985 vogliono essere insomma una chiave per l’ingresso nel nuovo millennio: viene tracciata una via che rifiuta ogni estremismo, insistendo sulla forza della letteratura nelle sue specificità. La leggerezza che Calvino propone di portare nel terzo millennio, in particolare, è una "leggerezza pensosa" che "può far apparire la frivolezza come pesante e opaca". La Storia italiana e internazionale successiva alla pubblicazione del testo mi pare che dimostri come spesso la cultura abbia dovuto (e debba ancora) difendersi dalla presunta vitalità dei tempi, che Calvino definisce "rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante", paragonandola a "un cimitero d’automobili arrugginite"; le pagine della prima lezione quindi possono oggi rappresentare quasi un vademecum ad uso dell’intellettuale per affrontare la nuova complessità sociale e politica.
La rapidità assume lo stesso valore, in tempi in cui l’arte, in particolare quella narrativa, sembra doversi ripetere in un continuum infinito (quello che Eco in Apocalittici e integrati ha definito "civiltà del romanzo"). Si tratta di una velocità non misurabile, valida – cito - "per il piacere che provoca in chi è sensibile a questo piacere, non per l’utilità pratica che si possa ricavarne".
Per chi, come me, si interessa dei rapporti della letteratura con gli altri media, e in particolare con il cinema e l’illustrazione, la quarta lezione sulla visibilità rappresenta, anche per la produzione letteraria più recente, una testimonianza di come i media di massa diffusi nella prima metà del XX secolo siano un elemento fondamentale per analizzare la produzione degli scrittori novecenteschi. Le pagine in cui Calvino racconta di come la lettura delle strisce a fumetti nel "Corriere dei piccoli" lo abbia portato a divenire un narratore per cui l’immagine è centrale rappresentano infatti un esempio che si può estendere a numerosi altri autori coevi, come Edoardo Sanguineti (che nelle sue poesie ricorre spesso al genere dell’ecfrasi e con cui Calvino si confrontò come dimostrano i materiali conservati presso il Centro Studi Sanguineti di UniTo), o successivi. Penso ad esempio a Michele Mari, che in alcune prove giovanili è stato anche narratore a fumetti, e per cui anche nelle opere più recenti l’immagine di una copertina o di un fotogramma contribuisce alla genesi di una pagina: Calvino ci ricorda che tutte le fantasie che scaturiscono da questa esperienza estetica però "possono prendere forma solo attraverso la scrittura, nella quale esteriorità e interiorità, mondo e io, esperienza e fantasia appaiono composte della stessa materia verbale".
Sono insomma dei concetti fondamentali per la letteratura e la cultura del nuovo millennio: tra l’altro, il progetto Funghi in città si propone proprio di approfondire questi aspetti nel ciclo di lezioni a cui ho fatto cenno prima.
Calvino è uno degli scrittori italiani del secondo Novecento più conosciuto e tradotto all’estero: come spiega il suo successo internazionale?
Calvino ha grande successo all’estero perché, più che uno scrittore italiano, è internazionale: le sue radici non sono (solo) in Dante e Leopardi, ma da Omero passa a Sterne, Poe, Borges… Leggere la sua opera vuol dire muoversi tra gli scaffali di una biblioteca con diverse file di libri. Calvino piace perché anche le sue opere più semplici, quando vengono rilette a diverse età, nascondono epifanie di significato che prima non avevamo visto; e poi ha affrontato tutti i problemi del contemporaneo con strategie diverse, andando dalla fiaba al post-moderno, quindi al pamphlet. Inoltre Calvino ha doti che pochi altri autori italiani e stranieri della sua generazione condividono: recentemente su "Linus" Enzo Fileno Carabba ha fatto notare come nella Trilogia degli antenati spesso venga descritto l’orrore novecentesco fornendo al contempo gli strumenti per affrontarlo con l’ingegno e la grazia di un gioco di parole: sono queste le caratteristiche di un Autore che può essere apprezzato nei tempi storici in cui l’umanità è costretta ad affrontare traumi condivisi.
“Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”, scriveva Calvino in un celebre articolo pubblicato su "L’Espresso" nel 1981. In questo senso, oggi possiamo considerare Calvino un “classico”? Quali opere dello scrittore ci parlano ancora, e perché?
Rispondendo alla domanda precedente ho in qualche modo parafrasato un altro passo di quell’articolo: "d’un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima". Se diamo fede a queste parole, l’opera di Calvino è già un classico in cui ogni lettore può immergersi e trovare nuovi significati. Ogni momento del Calvino narratore ci parla ancora: per citare qualche esempio, Il sentiero dei nidi di ragno colloca nel 1943 una vicenda alla Burnett, ma contemporaneamente trasforma in mito la guerra partigiana, affrontando l’orrore della guerra con le armi della fabula (per primo se ne accorse l’editor einaudiano del romanzo, Cesare Pavese). È un metodo che verrà approfondito e migliorato nei romanzi della trilogia dei Nostri antenati, che rimangono il modello principale di questo metodo per affrontare la complessità del reale novecentesco. È il filo conduttore che porterà poi dai racconti di Marcovaldo alla narrazione più disillusa della Speculazione edilizia e della Giornata di uno scrutatore.
In realtà l’animo giocoso e fiabesco rimane vivo nelle opere successive: la stratificazione dei saperi viene infatti affrontata con il gioco combinatorio nelle Città invisibili e in Palomar, e con l’invenzione postmoderna nel Castello dei destini incrociati e in Se una notte d’inverno un viaggiatore: quest’ultimo periodo di Calvino è quello più complesso da spiegare a un lettore che non ne ha mai “sfidato il labirinto” (per parafrasare il titolo di un fondamentale saggio pubblicato sul "menabò"), ma la facilità nella fruizione diretta di queste opere dimostra come la leggerezza con cui entriamo nel nuovo millennio voglia anche essere un modo per minare l’approccio settario al sapere: il compito del letterato corrisponde a quello del lettore. Entrambi accettano di riportare l’ordine nel caos del reale, facendo come la Ludmilla di Se una notte d’inverno un viaggiatore, che è lettrice e protagonista di questa avventura.
A un giovane che non ha mai letto un libro di Calvino, quale opera consiglierebbe per iniziare a scoprirlo?
La porta d’ingresso ideale a Calvino (perché contiene in embrione tutto quello che avverrà nelle opere successive) potrebbe essere rappresentata dai primi due romanzi dei Nostri antenati, Il visconte dimezzato e Il barone rampante. Sono due libri che possono essere letti come fiabe, ma all’interno contengono la riflessione sul Novecento (in entrambi ci sono spaventose scene di guerra), e il gioco letterario (da una parte vediamo un omaggio palese a Stevenson, dall’altra coesistono Nievo e Fielding).